MARTELLAGO - Oggi la Bbc manderà in
onda uno speciale radiofonico dedicato ad un noto cardiochirurgo pediatrico,
raccontando tutti progetti di questo affermato professionista. Giovedì prossimo
si ripeterà, addirittura con un documentario di un'ora. Nulla di strano e di
eclatante, è normale che il principale network britannico si interessi alle
eccellenze sanitarie del Regno Unito. Ma la notizia davvero singolare è che il
medico in questione ha solo 36 anni, un percorso didattico condotto tra Mestre
e Padova, ed è originario di Olmo di Martellago. Nel Miranese è cresciuto, poi
a 19 anni ha capito che quel paesino cominciava a stargli stretto.
IL
TRASFERIMENTO Per dar sfogo alle proprie ambizioni doveva trasferirsi,
prima a Padova e poi in Inghilterra. E da quel giorno Simone Speggiorin di
strada ne ha fatta davvero tanta. Sono molti i giovani italiani che decidono di
tentare l'avventura all'estero, ma pochi riescono ad affermarsi in un campo
simile consacrandosi pure a livello internazionale. Nel settore il suo nome
circola da tempo, perché Simone è il più giovane cardiochirurgo
"strutturato" (dirige un'unità e ricopre un ruolo equivalente a
quello italiano di primario) di tutta l'Inghilterra. Ma ad affascinare i media
britannici è anche e soprattutto un progetto che lo vede in prima linea con
un'associazione che si occupa di curare i bambini indiani colpiti da problemi
cardiaci. Dottor Speggiorin, come
nasce l'opportunità di lasciare l'ambiente padovano e volare oltremanica?
«Nel 2003 mi sono laureato in Medicina a Padova, nel 2009 ho completato la
specializzazione in cardiochirurgia imparando moltissimo dal professor Giovanni
Stellin, il mio primo mentore. Ma il mio sogno era quello di lavorare con i
bambini, mi affascinava l'idea di curare i piccoli con malformazioni cardiache.
E sapevo che prima o poi avrei dovuto andare all'estero per completare il mio
percorso formativo».
In Italia non sarebbe stato possibile?
«Non volevo ristagnare come precario in un sistema molto ma molto indietro, il
problema è generale e non basterebbe certo solo una riforma della sanità. È per
questo che ho deciso di mettermi in gioco all'estero. Dopo la specializzazione
in Italia ottieni un diploma e sei legalmente abilitato a fare il
cardiochirurgo, ma non è facile essere già formato e pronto per svolgere la
professione».
Quindi, che è successo?
«Tramite Giovanni Stellin, a cui devo moltissimo, ho conosciuto il professor
Martin Elliott del Great Ormond Street Hospital di Londra, uno degli ospedali
pediatrici più importanti d'Europa. Con lui ho scritto un articolo scientifico,
evidentemente gli è piaciuto il mio modo di lavorare. E mi ha chiesto di
seguirlo a Londra».
Un'occasione che lei ha deciso di prendere al volo, giusto?
«Si, sono stato li per tre anni sub-specializzandomi in chirurgia tracheale e
cardiochirurgica pediatrica. Poi è spuntata una nuova opportunità, un altro
aereo da prendere al volo».
Ed è finito per un anno in India Bengalore, come mai?
«In quell'area geografica la popolazione è vastissima e ci sono molti bambini,
la quantità di malformazione al cuore è purtroppo molto elevata e quindi sapevo
che li c'era bisogno di lavoro. I dottori indiani sono molto bravi ma come
numero non bastano. L'India era il posto ideale per completare il mio training
formativo».
Che esperienza è stata?
«Bella, bellissima. Uno choc culturale, certo, ma mi è servita molto per
testare davvero quello che potevo valere».
Dopo un anno si è presentata l'occasione di partire di nuovo, è stata una
scelta difficile?
«Mi hanno offerto due posti, a Leicester in Inghilterra e a Sidney in
Australia. Ho scelto la prima per rimanere in Europa, per riavvicinarmi agli
amici e alla famiglia».
E proprio a Leicester, nel cuore del Regno Unito, lavora tutt'ora. Di cosa si
occupa?
«Al Glenfield Hospital sono stato assunto come cardiochirurgo pediatrico. Ma
faccio pure parte di una charity con un gruppo di dottori da tutto il mondo che
vanno in India ad operare bambini».
Come si struttura questo progetto?
«La charity è nata proprio a Leicester, tre o quattro volte all'anno andiamo in
India a curare questi bambini che altrimenti morirebbero. Spesso appartengono a
famiglie che vivono in grandi condizioni di povertà e non si possono permettere
alcuna spesa. Così il costo delle cure viene suddiviso tra l'ospedale indiano e
la nostra charity, denominata "Healing Little Hearts"».
Quali sono le più grandi differenze tra il sistema sanitario italiano e quello
inglese?
«Quello britannico è organizzato in maniera maniacale ed è più meritocratico,
se sei bravo è più facile che vai avanti».
E dell'Italia cosa le manca?
«La famiglia e la colazione con brioche e cappuccino, stop. La maggior parte
dei miei vecchi amici è già all'estero».
Tornerebbe?
«No, non avrebbe senso. Pensi: tre anni fa feci domanda per un concorso in
Italia, mi hanno risposto la settimana scorsa. Assurdo. Ora sono in una curva
ascendente, tornare significherebbe rimettersi in coda. Per fortuna il mondo è
grande e pieno di opportunità».